
Nel percorso di transizione dalla ricerca sugli animali verso i Nuovi Approcci Metodologici (NAMs), l’attenzione tende a concentrarsi sullo sviluppo e sulla validazione dei NAMs, come se la loro sola disponibilità fosse sufficiente a generare il necessario slancio per il cambiamento.
Tuttavia, la scienza della transizione* ci insegna che le cose non sono così semplici e che, in realtà, è necessario almeno un pari impegno nel graduale abbandono delle vecchie tecnologie. Nel caso della sperimentazione animale, un modo per farlo potrebbe essere quello di porre fine agli studi sugli animali che non hanno prodotto benefici clinici concreti (come nel caso dell’ictus, delle lesioni cerebrali o della malattia di Alzheimer). Un altro potrebbe essere quello di interrompere immediatamente il finanziamento e l’approvazione di studi palesemente inutili, non scientifici e non etici.
Con questo in mente, abbiamo letto con sgomento il recente post di Animal Free Science Advocacy riguardante uno studio australiano pubblicato il mese scorso, che descriveva un modello animale di strangolamento non letale (Sun et al. 2025). Incredibilmente, questo modello è stato sviluppato per far luce sulle lesioni che le donne possono subire per mano dei propri partner sessuali (nella cosiddetta ‘violenza da partner intimo’). Gli scienziati hanno assegnato ratti femmina di 6-7 settimane a quattro gruppi: controllo, lesione cerebrale, strangolamento, o lesione cerebrale più strangolamento. Le lesioni cerebrali sono state indotte utilizzando pressione pneumatica per proiettare un peso di 50 mg contro la testa dei ratti, mentre lo strangolamento è stato simulato sospendendo un peso di 680 g sulla loro trachea per 90 secondi. Dopo un periodo di valutazione, gli animali sono stati uccisi e i loro cervelli esaminati. I risultati? Lo strangolamento combinato con una lesione cerebrale presenta manifestazioni diverse rispetto alla sola lesione cerebrale, aggravando i deficit funzionali, la neuropatofisiologia e i biomarcatori del sangue.
Questo studio presenta innumerevoli problemi e l’organizzazione scientifica Animal Free Safety Assessment Collaboration (AFSA) li analizza, evidenziando non solo le questioni legate al benessere animale e i problemi metodologici e traslazionali, ma anche una caratteristica particolare che lo distingue da altri tipi di ricerca sugli animali: la simulazione di atti violenti e criminali.
Purtroppo, non è la prima volta che ci imbattiamo in studi simili, e addirittura in ricerche che hanno tentato di modellare atti di violenza sessuale criminale. Si consideri, ad esempio, questo studio statunitense che riporta un modello animale di abuso sessuale infantile (Vogt 2018). Tre volte a settimana, per tre settimane, coniglietti giovani venivano immobilizzati in imbracature mentre venivano loro inseriti palloncini nell’ano per simulare uno stupro anale. I palloncini venivano mantenuti in posizione per 21 minuti, il tempo stimato per l’eiaculazione maschile, con sette cicli di distensione per ogni sessione. Dopo ogni sessione, i conigli venivano collocati in una gabbia con l’imbracatura posizionata contro la parete opposta. Gli animali del gruppo di controllo si avvicinavano rapidamente all’imbracatura, mentre quelli sottoposti allo stupro simulato evitavano quasi sempre di avvicinarsi. Il risultato dello studio? I conigli abusati capivano e temevano il contesto del loro abuso.
Alcuni studi vanno persino oltre, inducendo gli animali stessi a perpetrare violenza. Uno studio statunitense ha collocato ratti prepuberi di entrambi i sessi con maschi adulti aggressivi per dieci minuti, poi li ha uccisi ed esaminato i loro cervelli per indagare se l’abuso infantile fosse elaborato in modo diverso a seconda del sesso (Weathington et al. 2012). Studi precedenti sulla violenza da partner intimo hanno adottato approcci simili. Un team svizzero, ad esempio, ha ospitato ratti femmina vergini con ratti maschi per 21 giorni. In uno studio (Cordero et al. 2012), i ratti maschi erano stati preventivamente stressati mediante esperienze spaventose, e ciò li ha portati a mostrare elevati livelli di aggressività verso le giovani femmine, che hanno perso peso e manifestato comportamenti ansiosi e depressivi. In un altro studio (Poirier et al. 2013), gli autori hanno riscontrato che un temperamento ansioso nelle femmine moderava l’impatto dell’aggressione dei maschi.
Un team statunitense ha studiato modelli animali di violenza sessuale maschile contro giovani femmine. Bowles (2013) ha ripetutamente esposto femmine di ratto appena svezzate a ratti adulti sessualmente aggressivi ed esperti nel loro territorio (30 minuti ogni tre giorni per un totale di sette giorni), durante i quali i maschi tentavano di montarle e penetrarle. Le femmine mostravano una forte riluttanza a rientrare nella gabbia e “vocalizzavano udibilmente durante l’incontro”. Non sorprende che queste esperienze abbiano compromesso la capacità di apprendimento delle giovani femmine. In un altro studio (Shors et al. 2016), il team ha esposto ratti pubescenti femmine (di 35 giorni) a due maschi adulti sessualmente esperti, a giorni alterni per otto giorni consecutivi. Durante questi incontri, i maschi le inseguivano, immobilizzavano e tentavano di montarle, con alcune penetrazioni avvenute anche se le vagine delle femmine non erano ancora completamente aperte. Ancora una volta, si è osservato un impatto negativo sull’apprendimento e sullo sviluppo del comportamento materno.
Questo è il riduzionismo biologico portato all’assurdo. L’abuso infantile e la violenza maschile contro donne e ragazze sono crimini radicati nei sistemi patriarcali e connessi alle disuguaglianze di genere e a fattori sociali, culturali, strutturali ed economici. È assurdo pensare di affrontare questi problemi esaminando i cervelli degli animali e altrettanto ridicolo credere che ciò che si trova nei loro cervelli possa essere applicato agli esseri umani e ai contesti sociali complessi in cui viviamo.
Il riduzionismo biologico ha conseguenze. Una è che sposta l’attenzione dagli aspetti strutturali ai singoli individui. Vogt, ad esempio, si riferisce all’“abuso infantile” come a un disturbo neurologico, come se fosse una condizione patologica individuale anziché un problema sociale grave (Vogt 2017). Un altro studio (Poirier et al. 2013) ha cercato di individuare comportamenti femminili che potrebbero mitigare l’impatto dell’aggressione maschile, spostando l’attenzione sulla resilienza delle vittime piuttosto che sulla prevenzione della violenza.
Questi studi non hanno prodotto alcuna informazione utile per i sopravvissuti alla violenza. È scioccante che abbiano ricevuto approvazione etica e finanziamenti pubblici. La comunità scientifica deve condannare fermamente questa ricerca. Finanziarla e approvarla mina la fiducia nel progresso scientifico e perpetua pratiche che dovrebbero essere abolite.
Note
*La scienza della transizione (in inglese transition science) è un campo di studio interdisciplinare che analizza il modo in cui i sistemi scientifici, tecnologici e sociali cambiano nel tempo. Si concentra sui processi di transizione da vecchie tecnologie, pratiche o paradigmi consolidati verso nuovi approcci più avanzati, sostenibili o etici.
Bibliografia
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Weathington JM, Strahan JA, Cooke BM. Social experience induces sex-specific fos expression in the amygdala of the juvenile rat. Hormones and behavior. 2012 Jul 1;62(2):154-61.
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Shors TJ, Tobόn K, DiFeo G, Durham DM, Chang HY. Sexual Conspecific Aggressive Response (SCAR): a model of sexual trauma that disrupts maternal learning and plasticity in the female brain. Scientific reports. 2016 Jan 25;6(1):18960.
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Articolo originale: https://safermedicines.org/blog_post/two-wrongs-do-not-make-a-right-animal-models-of-physical-and-sexual-abuse/