I nuovi approcci metodologici senza animali hanno aiutato a superare i limiti dei test su animali in ragione della loro abilità di replicare i meccanismi molecolari, cellulari e fisiologici delle patologie umane e per la trasferibilità dei risultati ottenuti in ambito preclinico in terapie efficaci per i pazienti. Il presente studio si è prefissato di analizzare la ricorrenza del pregiudizio, o bias, dei metodi animali nella letteratura scientifica.
Il bias può essere rappresentato da molteplici fattori che a vario titolo inficiano la qualità e la validità della ricerca (associazioni causa-effetto, prevalenza, tipologie di campione, etc). In questo caso il bias è però rappresentato dall’utilizzo prevalente dei test su animali nell’ambito della ricerca biomedica.
Cause all’origine del bias
- mancata conoscenza da parte di revisori ed editori delle potenzialità dei nuovi approcci metodologici human-based; i revisori tendono a scartare le ricerche condotte con metodologie non convenzionali e a fare affidamento su quanto già conoscono e ritengono prioritario (test in vivo su animali); più spesso studi condotti su sistemi human-based, con risultati peraltro concordi con quanto è riscontrabile sull’essere umano, sono assoggettati a validazioni con test su animali, che possono distorcere il risultato finale e si dimostrano del tutto ingiustificati; gli stessi revisori intervistati ammettono che spesso il test in vivo non aggiunge valore scientifico alla ricerca, ma è piuttosto una consuetudine data dalla familiarità con tali modelli e i dati ad essi relativi.
- peer review: le revisioni tra pari delle ricerche e dei lavori possono essere fonte di ritardo nel progresso scientifico in quanto in casi significativi (poi concorsi al nobel) si sono mostrati a lungo ostacolanti nella divulgazione di ricerche human-based;
- gli organismi che sovvenzionano le ricerche possono anche inconsciamente prediligere tipologie di ricerche affini alle proprie aree e metodologie di competenza (uso di animali);
- preferenza per il mantenimento dello status quo “si è sempre fatto così quindi proseguiamo con lo stesso metodo”;
- riviste che richiedono necessariamente la validazione in vivo;
- requisiti regolatori obsoleti;
- finanziamenti o parternership con gruppi /aziende che sovvenzionano ricerca con sperimentazione animale; conflitti d’interesse teoricamente non concessi, almeno sulla carta, agli autori, ma requisito non indispensabile per revisori ed editori;
- ruolo dei comitati etici per l’applicazione delle norme connesse alla sperimentazione animale, coinvolti nell’approvazione degli esperimenti in vivo. Possibili pressioni da parte degli autori per l’approvazione di test, spesso vincolanti per la pubblicazione;
- nella scelta delle metodologia di ricerca, i test in vivo su animali vengono scelti maggiormente in ragione della loro disponibilità, piuttosto che per la trasferibilità del risultato dall’animale all’uomo (scarsamente indagata).
A riprova di quanto sopra enunciato, uno dei tanti esempi che si possono fare, è quello relativo a uno studio che nel 2013 ha confrontato l’espressione genica e la risposta genomica in corso di infiammazione conseguente a trauma, ustione e sepsi nell’uomo e nel modello murino, evidenziando che di fatto non esistano correlazioni tra i due modelli. Lo studio è stato fortemente criticato e rigettato dalla pubblicazione da parte di numerose riviste.
Proposte degli autori per superare il bias dei metodi animali
- revisori adeguatamente formati;
- revisioni tra pari aperte, che sono risultate più accurate e credibili; in questo modo si potrebbe avere contezza di quali revisioni sono state richieste per la validazione e quali sono quelle originali previste dell’esperimento;
- revisione del lavoro non sulla base dei risultati finali, ma analizzando introduzione e metodi come elementi discriminanti per la valutazione.
Articolo originale:
Krebs, C. E., Lam, A., McCarthy, J., Constantino, H. and Sullivan, K. (2023) “A survey to assess animal methods bias in scientific publishing”, ALTEX – Alternatives to animal experimentation. doi: 10.14573/altex.2210212.