Scoperte mediche sensazionali: peccato che riguardino i topi, e ci si dimentichi spesso di scriverlo

Leggere un resoconto di un innovativo e miracoloso trattamento medico, attirati da un titolo emozionante, solo per scoprire, dopo alcuni paragrafi, che i risultati riguardano soltanto i topi.

Nella migliore delle ipotesi può dar fastidio e nel peggiore dei casi può creare addirittura false speranze nei pazienti e nelle loro famiglie, facendo intendere tra le righe che quanto scoperto nei roditori sia vero anche per noi. Un nuovo studio individua la fonte di questo comune errore: omettere la parola “topi” nei titoli degli articoli scientifici a cui i media si ispirano. Alla base vi è una reazione a catena di comunicazione distorta, che può verificarsi a vari livelli.

Un articolo scientifico che omette di menzionare in modo chiaro che gli esperimenti sono stati fatti sugli animali (e non riguardano perciò l’uomo) può riverberare come un comunicato stampa e quindi echeggiare nei resoconti dei media, nei tweet e nei meme. Oppure, il titolo di un comunicato stampa o di un quotidiano o il suo contenuto possono omettere di menzionare i topi, anche se l’articolo sulla rivista scientifica invece li menziona.

Molti giornalisti scientifici traggono spunto dai molti articoli pubblicati quotidianamente su Eurekalert.org, da istituzioni e aziende di tutto il mondo. E alcune versioni menzionano i topi solo in alcuni paragrafi o per niente.

La popolarità derivante da titoli che non menzionano gli animali nonostante gli studi in questione riguardassero unicamente animali, infastidisce diversi ricercatori. Purtroppo non si tratta soltanto di titoli di quotidiani o riviste non tecniche ma spesso anche di pubblicazioni scientifiche soggette a revisione paritaria: quando si effettuano ricerche bibliografiche su Pubmed si può notare che molti studi su animali non menzionano gli organismi modello utilizzati, non soltanto nel titolo ma a volte nemmeno nell’abstract.

Ci ha fatto quindi molto piacere leggere, in un articolo scientifico e poi in un comunicato stampa di Biomed21, che la dott. Marcia Triunfol della Humane Society International di Washington, e dott. Fabio Gouveia della Fondazione Oswaldo Cruz di Rio de Janeiro hanno indagato se la menzione dei topi nei titoli dei comunicati stampa smorzi la copertura mediatica.

I risultati descritti nell’articolo “Cosa viene omesso nei titoli delle notizie o nei titoli degli articoli sulla malattia di Alzheimer? #NeiTopi”, pubblicato su PLOS Biology, non sorprendono: quando il titolo di un articolo scientifico omette la connessione con i roditori, i giornalisti che riprendono l’articolo tendono a fare lo stesso.

Nessun ricercatore con cognizione di causa proporrebbe mai un risultato basato solo sullo studio di topi o ratti a Medscape o MedPage Today, i cui lettori sono medici. E non includerebbe tali studi nel proprio libro di testo di genetica umana, vorremmo sperare.

Un topo non è un piccolo umano e gli studi sugli animali potrebbero essere utili solo a livello meccanicistico, in un ottica riduzionista, cosa che poteva essere forse giustificata 50-100 anni fa, quando non esistevano né le tecnologie attuali né le conoscenze sulla biologia molecolare e cellulare, la regolazione genica e l’epigenetica che abbiamo oggi. 

La corrispondenza tra un modello di malattia umana ed un paziente NON può ridursi ad un singolo gene.  Secondo “Why Mouse Matters” su Genome.gov del NIH, “in media, le regioni codificanti le proteine ​​del topo e del genoma umano sono identiche per l’85%». Ma è la regolazione genica (la modalità con cui i geni vengono “spenti” o “accesi”) a presentare differenze sostanziali tra una specie e l’altra. Inoltre le condizioni innaturali a cui sono sottoposti gli animali di laboratorio, nonché le modalità artificiali di induzione di malattie tipicamente umane, complicano ulteriormente le cose. 

L’evoluzione ha conservato vaste aree di genomi dei mammiferi. Usiamo versioni simili delle stesse molecole per fare le stesse cose. Ma anche quando i geni umani vengono aggiunti ai genomi dei roditori o delle scimmie, creando creature “umanizzate”, le differenze nello sviluppo e nella regolazione di tali geni influiscono sull’estrapolazione e sull’interpretazione dei risultati sperimentali. Ciò è particolarmente vero per le sindromi che si sviluppano secondo una sequenza temporale precisa, come le malattie genetiche con caratteristici ritardi nello sviluppo o la perdita di tappe fondamentali, e le malattie croniche che emergono e peggiorano nel corso della vita, come il diabete e le malattie cardiovascolari, legate in gran parte a fattori ambientali connessi allo stile di vita e che non potranno mai essere riprodotte efficacemente in un laboratorio.

La limitazione dei modelli animali non è un’idea nuova. Uno studio del 2005, “Of Mice and Men”, di Lloyd Demetrius, pubblicato su EMBO Reports, ha un abstract di una frase: “Quando si tratta di studiare l’invecchiamento e i mezzi per rallentarlo, i topi NON sono dei piccoli umani.”

Demetrius ha esaminato l’uso improprio dei roditori nelle indagini sull’invecchiamento e la restrizione calorica – l’idea che la restrizione calorica allunga la vita, sostenendo che i diversi tempi di sviluppo dei roditori rispetto agli esseri umani riflettono le differenze nel processo dell’ invecchiamento stesso, e delle risposte metaboliche allo stress. Quindi non sarebbe possibile estrapolare i risultati dai topi che vivono più a lungo perché si nutrono di cavoli rispetto ai compagni che mangiano cibo normale, a persone che fanno scelte dietetiche diverse.

Considerando l’Alzheimer, lo studio menzionato precedentemente sonda il livello di successo mediatico di un articolo scientifico riguardante studi su modelli animali di Alzheimer, a seconda se nel titolo vengano o meno menzionati i topi. Si è scelto l’Alzheimer perché è “una condizione esclusivamente umana”, ma per la quale sono stati sviluppati centinaia di modelli murini per sondare risposte fisiologiche specifiche.

I ricercatori hanno analizzato 623 articoli scientifici e controllato la copertura mediatica di questi ultimi. Gli articoli che avevano evitato di menzionare i topi hanno ricevuto più copertura mediatica e sono stati significativamente più twittati. Gli autori hanno espresso preoccupazione per l’inganno verso il pubblico, anche se non intenzionale.

“La maggior parte delle persone legge solo i titoli delle notizie. Se il titolo omette che lo studio sull’Alzheimer è stato condotto sui topi, la maggior parte crede che i risultati dello studio si applichino agli esseri umani, il che non è vero nella stragrande maggioranza dei casi. Oggi sappiamo infatti che oltre il 99% dei risultati ottenuti con gli studi sugli animali per la malattia di Alzheimer non si replicano nell’uomo”, ha affermato la dott. Triunfol nel comunicato stampa.

Gli autori hanno anche richiesto l’applicazione di linee guida e politiche editoriali affinché le riviste scientifiche richiedano che i titoli degli articoli sperimentali identifichino le specie e/o le fonti tissutali utilizzate per la ricerca, se non derivati dall’uomo.

L’Alzheimer è solo un esempio, ma l’abitudine di non menzionare gli organismi modello utilizzati è diffusissima e non è destinata a scomparire presto. Riportiamo solo un articolo “La dieta a base vegetale protegge dall’ipertensione, dalla preeclampsia” (per chi vuole cercarlo basta che digiti in google: “Plant-based diet protects from hypertension, preeclampsia”).

Bel titolo vero? Ma ecco le prime due frasi: “Una dieta a base vegetale sembra offrire una protezione significativa ai ratti allevati per diventare ipertesi con una dieta ricca di sale, riferiscono gli scienziati. Quando i ratti sono in gravidanza, la dieta a base di cereali integrali protegge anche le madri e la loro prole dalla preeclampsia mortale”.  E questa volta è andata relativamente bene, perché a volte per realizzare che lo studio in questione riguarda gli animali, è necessario arrivare quasi alla fine dell’articolo, o addirittura in alcuni casi andare a controllare la fonte originale, in inglese, cosa che dubitiamo che un non addetto ai lavori si metta a fare. Ecco l’esempio.

Continueranno ancora ad apparire titoli e notizie sensazionali, forse inavvertitamente, a causa di errori di omissione, risulteranno nei notiziari, nei tweet o post di Facebook. Quindi per il momento spetta ai lettori rendersi conto che qualora i risultati in questione riguardino topi, ratti, o scimmie, nella stragrande maggioranza dei casi, non saranno applicabili ai pazienti.

Su Twitter esiste anche una pagina che raccoglie un po’ ironicamente tutti gli articoli che riguardano le scoperte sensazionali… nei topi: https://twitter.com/justsaysinmice