Qual è la percentuale di successo delle terapie testate sugli animali nei pazienti umani?

Un recente studio pubblicato su PLOS Biology ha riacceso il dibattito sull’efficacia degli esperimenti sugli animali per lo sviluppo di terapie mediche. Il tema centrale è la capacità delle terapie sviluppate sugli animali di tradursi efficacemente in trattamenti per gli esseri umani. Lo studio ha valutato due aspetti cruciali: la percentuale di terapie che passano dagli studi sugli animali agli esseri umani e la coerenza dei risultati tra questi studi.

Metodologia dello Studio

Gli autori hanno condotto una revisione complessiva di 122 articoli, che coprono 54 malattie umane e 367 interventi terapeutici. Le fonti includevano diversi database tra cui Medline, Embase e Web of Science Core Collection, cercate fino al 1° agosto 2023. Hanno esaminato la proporzione di interventi che procedono verso gli studi umani, studi clinici randomizzati (RCT) e l’approvazione regolatoria, con un’analisi della concordanza tra i risultati degli studi sugli animali e quelli umani.

Risultati Principali

I risultati hanno dimostrato che solo il 50% delle terapie sviluppate sugli animali progredisce a studi umani, il 40% a RCT e un esiguo 5% ottiene l’approvazione regolatoria, diventando quindi un farmaco. Le terapie per i disturbi del sistema circolatorio e della salute mentale hanno avuto i risultati peggiori, con rispettivamente l’1% e lo 0% dei trattamenti approvati.

Un dato interessante è l’86% di concordanza tra i risultati positivi degli studi sugli animali e quelli clinici, un valore più elevato di quello che ci si aspetterebbe. Ma è veramente così?

Critiche e Limiti

Come dichiarato anche dagli autori vi sono tuttavia dei limiti nella metodologia usata per calcolare la concordanza. La classificazione dei risultati come “positivi” può portare a interpretazioni distorte. Non sono stati calcolati specifici outcome o dimensioni degli effetti per determinare accuratamente la concordanza. Inoltre, non è stata discussa l’influenza del bias di pubblicazione, ovvero la tendenza a pubblicare solo studi con risultati positivi, il che potrebbe influenzare i dati analizzati.

Conclusioni

Mentre risulta chiaro che soltanto il 5% delle terapie utili nei modelli animali riceve l’approvazione per il trattamento dei pazienti umani, il metodo di calcolo del livello di concordanza tra i risultati ottenuti sugli animali e quelli sugli umani presenta delle limitazioni e verosimilmente è stato sovrastimato.

Mentre gli autori dell’articolo affermano che “per migliorare l’efficacia della traduzione delle terapie dagli animali agli esseri umani è fondamentale rafforzare la robustezza del design degli studi e la loro generalizzabilità” altri ricercatori sono concordi sulla necessità di un cambio di paradigma che preveda il superamento dei modelli animali e l’adozione di nuovi approcci metodologici focalizzati sulla biologia umana. Ad esempio in uno studio pubblicato sul Journal of Translational Medicine nel 2018 si conclude che per quanto si possano migliorare i modelli animali e la progettazione degli studi, il problema delle differenze tra specie non potrà mai essere superato e minerà sempre il trasferimento affidabile dei risultati verso i pazienti umani.

Riflessioni Finali

Tutto ciò evidenzia l’importanza di un rigoroso scrutinio dei metodi utilizzati nella ricerca preclinica e clinica per garantire che le scoperte scientifiche possano efficacemente tradursi in benefici terapeutici per gli esseri umani.

Per ulteriori dettagli, si può leggere l’articolo completo su PLOS Biology.

Riferimenti bibliografici

Ineichen BV, Furrer E, Grüninger SL, Zürrer WE, Macleod MR (2024) Analysis of animal-to-human translation shows that only 5% of animal-tested therapeutic interventions obtain regulatory approval for human applications. PLOS Biology 22(6): e3002667. https://doi.org/10.1371/journal.pbio.3002667

Pound P, Ritskes-Hoitinga M. Is it possible to overcome issues of external validity in preclinical animal research? Why most animal models are bound to fail. J Transl Med. 2018;16(1):304. Published 2018 Nov 7. doi:10.1186/s12967-018-1678-1