Pubblichiamo qui la nostra lettera aperta inviata alla redazione e ai direttori di diversi quotidiani tra cui “Il Giorno” e “Il Giornale”:
Spett. Redazione,
Spesso i sostenitori della sperimentazione animale, per legittimare la pratica che difendono, affermano che se esistessero “metodi alternativi” verrebbero utilizzati, e che gli animali vengono usati se e solo se non esiste alcuna alternativa. Ma siamo sicuri sia proprio così?
Purtroppo, la realtà è ben diversa.
Ad esempio, per testare la presenza di pirogeni (sostanze in grado di provocare la febbre) nei preparati farmaceutici iniettabili vengono ancora oggi sacrificati migliaia di conigli ogni anno solo in Europa. Se tutto va bene, in alternativa ai conigli vengono utilizzati i limuli, grandi crostacei marini simili ai granchi. I limuli vengono catturati e salassati per prelevarne l’emolinfa (il loro “sangue”) necessaria per i test, con gravi impatti ecologici ed implicazioni sul benessere animale (molti muoiono o non si riproducono più dopo essere stati rilasciati in mare). Poco importa se da oltre 10 anni sono disponibili i test alternativi che impiegano cellule immunitarie umane e che si sono dimostrati persino migliori e più affidabili dei test che impiegano animali o derivati animali.
Altro esempio, i test di sensibilizzazione cutanea. Nonostante siano disponibili da diversi anni delle batterie di test totalmente animal-free basate su modelli 3D di epidermide umana ricostituita e saggi chimici, il numero di porcellini d’india e topi utilizzati per testare le sostanze potenzialmente allergizzanti, continua a ad essere elevato. Ciò risulta molto grave se pensiamo che i test di sensibilizzazione cutanea sui porcellini d’india, oltre a non dare risultati affidabili per l’uomo a causa delle differenze tra specie, possono provocare molta sofferenza negli animali, poiché alcuni prevedono l’applicazione di sostanze irritanti “adiuvanti” sulla cute degli animali e l’induzione di dolorose dermatiti.
E che dire della produzione degli anticorpi, largamente utilizzati sia nella ricerca che in campo diagnostico o terapeutico? Nonostante esistano da anni tecniche per produrre anticorpi senza utilizzare animali e che permettono di ottenere prodotti di qualità addirittura superiore rispetto a quelli ottenuti in modo convenzionale, vengono ancora sacrificati, solo in Europa, circa 1 milione di animali all’anno per produrre anticorpi. Fatto molto grave, in molti casi si utilizza ancora l’obsoleto e cruento metodo dell’ “ascite”, una tecnica che prevede la produzione ed il prelievo di anticorpi in vivo dal liquido che si accumula nella cavità addominale degli animali, che diventano “fabbriche” viventi di anticorpi.
Quali sono i motivi principali per cui i “metodi alternativi” non vengono utilizzati a dovere? Pregiudizi, diffidenza verso i nuovi metodi, scarsa conoscenza degli stessi, inerzia, mancanza di formazione specifica. Tutto ciò in contrasto con la Direttiva 2010/63/UE che stabilisce che l’uso di animali a fini scientifici dovrebbe essere preso in considerazione solo quando non sia disponibile un’alternativa non animale.
Un altro problema da non sottovalutare è che spesso le riviste scientifiche richiedono test in vivo (su animali) per pubblicare uno studio, poco importa se non esiste alcuna evidenza scientifica che i risultati ottenuti dai test sugli animali siano più affidabili di quelli provenienti da studi su sistemi avanzati, che impiegano tessuti umani ingegnerizzati e tecnologie di ultima generazione, progettate e validate per predire le risposte dell’uomo (e non del topo).
E’ tristemente noto che l’85-95% dei farmaci sicuri ed efficaci nei modelli animali, si rivelano poi inutili se non addirittura pericolosi per i pazienti. Non a caso la comunità scientifica riconosce sempre di più la necessità di focalizzare la ricerca sulla biologia umana, proprio perché i modelli animali, per quanto possano essere migliorati o “umanizzati”, non sono in grado di riflettere la complessità delle condizioni umane, mentre sottraggono ingenti risorse alla ricerca.
Grazie ai nuovi approcci metodologici (NAM) ed alle emergenti tecnologie è già è già possibile fare ricerca incentrata sulla biologia umana, e quanto più ci impegneremo a promuoverli sia a livello economico che formativo tanto prima i NAM diverranno i metodi di riferimento per la ricerca biomedica e tossicologica, con notevole beneficio per i pazienti in attesa di cure, per la collettività, per la ricerca e per gli animali.
Manuela Cassotta
Biologa, biotecnologa
Membro del Comitato Scientifico O.S.A.