Riportiamo di seguito il parere della Dott.ssa Costanza Rovida, tossicologa e Sientific Officer al Center for Alternatives to Animal Testing Europeo (CAAT Europe), sulla Dichiarazione ufficiale della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Il parere era già stato inviato precedentemente dall’autrice stessa, a Repubblica, senza alcun riscontro:
Ho avuto modo di leggere il documento della CRUI sulla centralità della ricerca e delle sperimentazione animale, commentato da un vostro articolo a firma di Cristina Nadotti.
Non entro nel dettaglio di tutte le inesattezze contenute nel documento, ma vorrei fare qualche commento su ciò che ritengo più rilevante. Lavoro nell’ambito delle alternative ai test sugli animali e conosco bene l’argomento. Per questo sono rimasta sbalordita dall’affermazione nel documento CRUI per cui la Direttiva 63/2010 nasce per salvaguardare la sperimentazione animale. La direttiva riguarda la “protezione degli animali utilizzati a fini scientifici” e quindi nasce per salvaguardare gli animali usati nella sperimentazione scientifica e nel testo si dice chiaramente che il fine ultimo deve essere quello di alla completa sostituzione dell’uso di animali a scopo scientifico. Direi che la differenza è fondamentale!
Altro punto interessante nel documento CRUI è relativo all’elenco dei capitoli che devono essere inseriti nella richiesta di autorizzazione per un nuovo studio con animali. Tra questi non viene citato il fatto che bisogna dimostrare che non esistono alternative possibili e ciò dimostra ampiamente quanto questo aspetto venga ignorato da molti ricercatori prima di intraprendere un nuovo studio con animali e soprattutto da chi ha scritto il documento CRUI.
Riguardo alla considerazione per cui la ricerca “vera” è solo quella con animali, vorrei portare un dato che forse può far capire meglio come è la situazione al di fuori dell’Italia. Per curiosità, ho preso il programma dell’ultimo EUROTOX a cui ho partecipato nel 2019. EUROTOX è la conferenza della Società Europea di tossicologia, a cui intervengono ricercatori da tutto il mondo, ben lontani dalla cosiddetta sfera degli animalisti. Ebbene, ho analizzato le varie sessioni e ho contato:
- 15 sessioni dedicate interamente a tecnologie in vitro o basate su sistemi integrati complessi, chiaramente indicati come tecniche del futuro
- 7 sessioni su argomenti incentrati sulla sperimentazione in vivo
- 10 sessioni generali, tra cui una su evidence based toxicology, un movimento che apertamente critica il modello animale e la sua approssimazione scientifica
- 5 sessioni relative a studi epidemiologici e di esposizione umana (Su quest’ultimo punto, quindi relativo a studi effettuati direttamente sull’uomo, aggiungo che ben due sessioni erano su sostanze psicoattive e tra i relatori nessuno ha fatto riferimento a studi su animali. Siamo sicuri quindi che proibire questo tipo di ricerca in Italia sia così discriminante?)
Penso che questi numeri parlino da soli ed evito di aggiungere qualunque altro commento, se non che affermare che “la ricerca vera deve necessariamente passare dalla sperimentazione animale”, oltre che ad essere falso, è offensivo verso molti ricercatori che si adoperano per sviluppare modelli tecnologicamente molto avanzati, cercando di essere sempre più predittivi per l’uomo, una ricerca che sta progredendo in fretta all’estero e che in Italia è ancora bloccata da pregiudizi incomprensivi.
L’ultimo pensiero va a tutti i brillanti giovani ricercatori italiani che sono costretti ad emigrare all’estero per poter lavorare. Dare la colpa di questo agli animalisti che ostacolano lo sviluppo di studi sugli animali mi sembra solo un palliativo per non voler vedere le vere responsabilità. La realtà è che la ricerca in Italia non è per niente innovativa e non viene dato spazio né a idee originali né a giovani che vogliono impegnarsi in metodologie di avanguardia.