
Alcuni ricercatori all’inizio della carriera riferiscono di sentirsi sotto pressione per usare modelli animali per soddisfare i requisiti di riviste e finanziatori — anche in ambiti e progetti che non li richiederebbero.
Un’abitudine automatica
Durante il suo dottorato in un laboratorio di genetica umana all’Università della California, Los Angeles, Catharine Krebs si era abituata a vedere una frase ricorrente nei lavori pubblicati: “Questi risultati dovranno essere confermati in vivo”.
Quasi sempre, “in vivo” significa in un modello animale. “La si scrive automaticamente, senza nemmeno pensarci, perché si è stati addestrati a credere che quello sia il passo logico successivo”, riflette Krebs.
Oggi è responsabile del programma di ricerca medica per il Physicians Committee for Responsible Medicine (PCRM), un’organizzazione no-profit di Washington DC che promuove metodi alternativi alla sperimentazione animale.
In questo ruolo, durante un workshop nel 2022, lei e altri partecipanti hanno coniato il termine “pregiudizio o bias, dei metodi animali” (animal-methods bias), per descrivere una tendenza che aveva già notato nel mondo accademico.
Questo pregiudizio si definisce come “una dipendenza o preferenza per i metodi basati su animali, nonostante l’esistenza di alternative potenzialmente adeguate che non implicano l’uso di animali”.
Un sondaggio tra ricercatori
Nel 2023, Krebs e i suoi coautori (tra PCRM e Humane Society International Europe) hanno pubblicato i risultati di un sondaggio tra 90 ricercatori e revisori scientifici.
Sebbene il campione fosse ridotto, il sondaggio fornisce prove preliminari dell’esistenza di questo pregiudizio.
Alcuni ricercatori hanno riportato pressioni da parte dei revisori per includere componenti di ricerca animale nei propri studi — pressioni percepite come ingiustificate, ad esempio anche per studi puramente computazionali.
“Le problematiche principali arrivano dalle riviste e dagli enti finanziatori”, afferma Krebs. “I ricercatori che usano modelli animal-free sono estremamente frustrati da queste richieste”.
Un portavoce di Springer Nature (che pubblica Nature) ha dichiarato che gli editori delle riviste seguono sempre le linee guida ARRIVE 2.0, aggiornate l’ultima volta nel 2020.
L’impatto sulle carriere
Krebs e i colleghi stanno ora proseguendo con ricerche su scala più ampia.
Una domanda centrale è se questo pregiudizio influenzi in modo particolare i ricercatori all’inizio carriera.
Krebs ipotizza: “Se vivono l’esperienza di dover usare un modello animale per pubblicare o ottenere un finanziamento, allora il comportamento si rinforza, e ciò può indirizzarli su una strada professionale in cui continuano a usare animali — anche se ci sarebbero modelli alternativi che imitano meglio la biologia umana”.
Metodi alternativi: accettazione e limiti
“È vero che i nostri studi in vitro non colgono ogni aspetto della biologia”, afferma Abhijit Majumder, ingegnere chimico presso l’IIT Bombay in India. “Ma anche gli studi sugli animali non colgono molti aspetti della fisiologia umana”.
Una statistica ricorrente suggerisce che circa il 90% dei farmaci candidati fallisce negli studi clinici, in parte a causa dell’eccessiva dipendenza dai modelli animali nella fase preclinica.
Majumder pensa che l’adozione dei NAMs (Nuovi Approcci Metodologici, come organoidi, chip su cui far crescere cellule, simulazioni al computer, ecc.) richiederà tempo. Ma è ottimista.
Più fondi per chi non usa animali
Per Laura Sinclair, ricercatrice post-doc all’Università di Exeter (UK), i fondi da organizzazioni non governative (ONG) sono stati essenziali.
Dopo una prima esperienza senza fondi, ha ottenuto una borsa triennale da Animal Free Research UK, che ha finanziato anche il suo post-doc e una futura fellowship. “Questa stabilità è stata fondamentale”, afferma.

Crediti: Dr Laura R. Sinclair
Krebs nota che le borse delle ONG tendono a essere più piccole rispetto ai fondi pubblici a lungo termine, come quelli del NIH (National Institutes of Health), il più grande ente finanziatore della ricerca biomedica al mondo.
Nel 2021, circa l’8% delle sovvenzioni competitive del NIH (escludendo studi clinici e invertebrati) ha sostenuto metodi alternativi. All’inizio degli anni ’80 era praticamente zero.
Danilo Tagle (NIH) ha iniziato come genetista lavorando su topi, ma oggi guida iniziative per ridurre la dipendenza dai modelli animali. Dice che il NIH ha aumentato gradualmente i fondi per i NAMs, specie nell’ultimo decennio.
Cambiamenti anche in Europa e India
La Direttiva dell’Unione Europea del 2010 punta a sostituire completamente l’uso di animali nella ricerca con NAMs. Ma tra il 2017 e il 2022, il numero di animali utilizzati nella scienza è cambiato poco.
Mathieu Vinken, professore alla Libera Università di Bruxelles, lavora sulla riduzione degli animali nella ricerca tossicologica (persino nello spazio!). Dice che oggi ci sono più opportunità di finanziamento per i giovani ricercatori.
Anche l’India sta facendo progressi: un bando del 2025 del Consiglio indiano per la ricerca medica menziona esplicitamente i modelli non animali come eleggibili.
Applicazioni future dei NAMs
Majumder e altri stanno sviluppando organi su chip, ad esempio per studiare come i farmaci agiscono durante la gravidanza — una situazione in cui è eticamente impossibile fare test clinici.
Un esempio è la placenta su chip, creata per simulare come le sostanze attraversano questa barriera biologica.
Nel 2024, il NIH ha lanciato il programma Complement Animal Research In Experimentation, per identificare ambiti in cui i modelli animali sono carenti, come le malattie rare e la sepsi. Secondo Danilo Tagle, il programma rappresenta un approccio coordinato al finanziamento dei NAMs da parte di tutti gli istituti NIH. Tagle ha parlato con il team di Nature Careers prima che l’amministrazione Trump imponesse una pausa a certe comunicazioni esterne e attività correlate del NIH.
“Stiamo puntando ad almeno 30 milioni di dollari l’anno, per i prossimi dieci anni, per sviluppare NAMs”, ha dichiarato Tagle.
Un cambiamento nei metodi può ridurre (fino a sostituire del tutto) l’uso di animali
Nonostante ci sia incertezza sul futuro dei finanziamenti pubblici USA per la ricerca biomedica, Catharine Krebs ritiene che si possa sostenere l’idea che la ricerca sugli animali sia spesso inefficiente — e questa argomentazione potrebbe risuonare anche con i messaggi dell’attuale governo, orientati a ridurre gli sprechi pubblici.
Nel frattempo, duplicare la ricerca utilizzando sia modelli animali che alternativi comporta tempi più lunghi e costi maggiori.
“Siamo in una fase di transizione in cui tutta questa ricerca è diventata molto costosa”, osserva Deepak Modi, biologo presso il National Institute for Research in Reproductive and Child Health a Mumbai.
Modi è ottimista: in futuro, alcune fasi intermedie potrebbero essere eliminate, rendendo il processo più rapido ed economico, senza sacrificare il rigore scientifico. Aggiunge che potrebbero presto esserci organi-su-chip “pronti all’uso”, man mano che la tecnologia matura.
Anche Laura Sinclair nota un calo dei costi, legato alla maggiore domanda da parte di consumatori e comunità scientifica. C’è un passaggio verso materiali sintetici e riproducibili rispetto a quando lei stessa faceva il dottorato senza animali. Ha inoltre contribuito a realizzare una guida per lavorare con colture cellulari umane senza derivati animali.
Investire bene: il punto di vista dei finanziatori
Per i finanziatori, valutare l’efficacia di un investimento è complesso. “Bisogna considerare anche le implicazioni traslazionali: si può investire in modelli animali, ma se questi non sono rilevanti per l’essere umano… allora è uno spreco enorme di tempo e risorse”, osserva Tagle.
Con gli organi-su-chip, dice, esistono già esempi in cui si è passati dallo sviluppo del modello al test di farmaci e poi alla sperimentazione clinica molto più rapidamente rispetto a quanto avviene con i modelli animali. Un esempio: un team ha utilizzato un chip di tessuto polmonare per testare il composto azeliragon contro malattie polmonari infiammatorie — ora in fase III dei trial clinici.
Il lato oscuro della pubblicazione
Il gruppo di Majumder, all’IIT Bombay, lavora a volte con collaboratori che fanno ricerca animale. “Solo quando è necessario”, dice. Questo può accadere se un revisore chiede dati in vivo oltre a quelli in vitro. A volte conviene cambiare rivista, oppure spiegare che l’esperimento non è fattibile. Talvolta gli editori accettano l’argomentazione.
Secondo Krebs, queste richieste da parte dei revisori non derivano solo da pregiudizi, ma spesso da mancanza di competenze per valutare metodi alternativi.
Iniziative per il cambiamento
Krebs è coordinatrice della Coalition to Illuminate and Address Animal Methods Bias (COLAAB), fondata nel 2022 con varie ONG, università e studiosi. Ha vinto il Lush Prize 2024 per il suo lavoro a favore della ricerca senza animali.
COLAAB suggerisce che gli autori possano proporre revisori esperti di NAMs, ma Krebs riconosce il rischio di creare circoli chiusi. Suggerisce anche di anticipare le obiezioni, aggiungendo test supplementari senza animali e giustificando bene la scelta del modello usato.
Il gruppo ha creato un database di riviste che pubblicano studi con NAMs, e sta portando avanti un dialogo con gli editori per proporre miglioramenti concreti.

Guardando al futuro
Scegliere tra riviste famose ma lente, e riviste specializzate meno note è un compromesso. Tra queste: ALTEX (dal 1984) e il NAM Journal (dal 2024). Secondo il direttore Mathieu Vinken, anche per le riviste specialistiche è difficile trovare revisori interdisciplinari preparati.
Vinken invita al pragmatismo: “Con gli strumenti attuali, è realistico puntare a una forte riduzione o sostituzione mirata dell’uso di animali”. Lui e il suo team partecipano al progetto VICT3R, iniziativa UE che usa gruppi di controllo virtuali basati su dati esistenti, per evitare nuovi test su animali.
Tagle conclude con ottimismo: “Il campo dei NAM è in piena espansione ed è una vera miniera di opportunità per la crescita professionale e per fare carriera”.
Bibliografia
Ro, C. (2025, March 20). How ‘animal methods bias’ is affecting research careers. Nature. https://www.nature.com/articles/d41586-025-00593-3