Riportiamo la lettera recentemente spedita al Prof. Pierre Magistretti, medico e neurobiologo, professore emerito al Politecnico di Losanna (EPFL) e alle Università di Losanna e Ginevra.
Egregio Professor Pierre Magistretti,
abbiamo letto con interesse l’intervista che ha rilasciato a Sette/Corriere della Sera il 30 agosto scorso e ci siamo divertiti a seguire le avventure dei giovani eroi cui ha dato vita (insieme con sua moglie Christine) nel Research Thriller IL GIOCO DELLA MENTE. Nell’una come nell’altro, Lei mette a nudo una delle più grandi piaghe del nostro tempo – il morbo di Alzheimer. E contestualmente dichiara che l’ipotesi di ricerca che da decenni tiene banco nei laboratori di neuroscienze di tutto il mondo – l’ipotesi della cascata amiloide – va superata.
È degno di nota che un’autorevole figura della ricerca internazionale abbia sollevato perplessità circa l’efficacia delle strategie fondate interamente sull’ipotesi della cascata amiloide. Tale approccio, che ha dominato a lungo il panorama degli studi sull’Alzheimer, ha assorbito ingenti risorse finanziarie senza tuttavia produrre risultati soddisfacenti. Alla luce di queste riflessioni e delle nuove conoscenze acquisite nel campo, anche noi riteniamo opportuno esplorare nuove strade, per esempio approfondendo il ruolo di componenti cerebrali finora meno studiate in questo contesto, come da lei suggerito, per comprendere meglio la complessità di questa patologia e sviluppare terapie più efficaci.
Ma fino a che punto è utile auspicare una svolta di tale portata senza pronunciarsi su una delle più eclatanti debolezze operativo-metodologiche che continuano nel sottofondo a segnare, e minare, la ricerca biomedica, e cioè i modelli animali?
Proprio l’Alzheimer ci consente di entrare limpidamente nel merito della questione.
Infinite volte, infatti, nel corso degli anni le molecole e i trattamenti sperimentati sugli animali contro questa malattia hanno dato ottimi risultati, e poi infinite volte – praticamente sempre – quelle stesse molecole e quegli stessi trattamenti hanno fallito sull’uomo. Detto con altre parole e più nel dettaglio: le differenze interspecifiche tra l’uomo e il topo hanno contribuito a un impressionante 99,6% di fallimenti nei trial clinici destinati a trovare una cura per l’Alzheimer.
A noi di OSA, questa circostanza, davvero incredibile, sembra di estrema importanza, degna di nota e di riflessione tanto quanto il fallimento dell’ipotesi beta amiloide. Se poi pensiamo che esistono documentate sostanziali differenze tra gli astrociti umani e gli astrociti dei roditori, che senso avrà continuare a focalizzarsi su questi ultimi se il fine è trovare quanto più velocemente possibile un farmaco per curare l’uomo dall’Alzheimer? E se è vero che noi non siamo topi di 70 chili, come sperare di poter dribblare l’ostacolo sul quale siamo ancora e ancora inciampati negli ultimi trent’anni: la scoperta di farmaci e trattamenti promettenti nei topi e i ratti, rivelatisi poi del tutto inutili – se non addirittura tossici – per l’uomo? Esistono alternative ai topi e ai modelli animali in genere? Certo che sì.
Tralasciando l’ampio discorso della prevenzione, sappiamo che modelli sperimentali che prescindono dal modello animale – sempre più rilevanti per la specie umana – sono oggetto di ricerche di Centri internazionalmente rinomati: Wyss Institute ad Harvard, Johns Hopkins CAAT a Baltimora e Costanza, Allen Institute di Seattle, Cornell University, Massachusetts Institute of Technology, per citarne alcuni.
Nuovi Approcci Metodologici (NAMs), che includono l’uso di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs), organoidi umani, brain-on-chip, glymphatics-on-chip, sistemi microfisiologici e tecnologie di analisi a singola cellula, oltre alle cosiddette tecnologie in silico computazionali, stanno già rivoluzionando lo studio sul cervello umano e delle patologie neurodegenerative.
Noi pensiamo che lo sviluppo e l’adozione di metodi sostitutivi alla sperimentazione animale basati sulla specie umana possano non solo rivoluzionare lo studio dell’Alzheimer, ma anche aprire la strada a nuove prospettive terapeutiche.
Ragioni etiche e ragioni scientifiche stanno disegnando un nuovo mondo e un nuovo modo di fare ricerca più sicuro, affidabile e al passo con i tempi. Lei pensa che vorranno farne parte, “in perfetta serenità e indipendenza”, anche i suoi giovani avventurosi eroi Yucun, Sarah, Edoardo e Philip?
Grazie per l’attenzione e le cortesi risposte che vorrà darci,
Il Consiglio Direttivo di
Oltre la Sperimentazione Animale (OSA)
Via Piero Martinetti, 28
20147 Milano – IT
osa@oltrelasperimentazioneanimale.eu
https://www.oltrelasperimentazioneanimale.eu/
Note
Enti regolatori quali EMA e l’FDA stanno progressivamente supportando l’utilizzo di metodi human-based (non-animali) per il test di nuovi farmaci. L’FDA Modernization Act 2.0 e il più recente FDA Modernization Act 3.0 così come anche la revisione della legislazione Europea in materia di farmaci ad uso umano proposto dalla CE ed accolta positivamente anche dal Parlamento Europeo, sottolineano il crescente sostegno verso l’uso di modelli innovativi human-based durante la fase non-clinica (o pre-clinica) dello sviluppo di nuovi farmaci.
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